Abortire è certamente una cosa terribile. Nessuna donna dovrebbe, vorrebbe farlo. Non è come andare a fare la tinta, non si fa con leggerezza.
Bisogna guardarla in faccia una donna che prende una decisione simile, per cercare (cercare) di capire che cosa sta vivendo, quali tempeste psicologiche si agitano nella sua testa, settimane di dubbi e di angoscia. È una sofferenza e un tormento che spesso non riesce a trasmettere all’esterno.
Poi dopo l’operazione, lo sconvolgimento del proprio corpo, le ripercussioni fisiche che a volte si trascinano per anni, il senso di colpa, il dolore del ricordo che è lì, sempre presente e a volte viene fuori con prepotenza. Noi non ne abbiamo idea, non abbiamo i mezzi per cogliere tutte le sfumature.
Qualunque sia la ragione, il motivo che porta a una decisione così impattante. Possono esserci problemi di salute, gravi difficoltà economiche, problemi psichici, violenze da parte di amici o familiari (la maggioranza dei casi), la minore età.
Mettiamoci dentro anche lo stigma sociale, l’orribile sentenza: "ha voluto divertirsi". Certo, gli umani si divertono, si fa in due. Per disattenzione, per passione, per ignoranza, per calcoli sbagliati. A quel punto, chi ne paga le conseguenze, se l'occasionale maschio si è dileguato da un pezzo? È solo lei (o lei da sola) che deve decidere.
Una società giusta di uomini e donne dovrebbe considerare tutto questo. Dovrebbe mettere la donna nelle condizioni di poter fare quel passo sofferto con serenità (relativa). E invece si arriva addirittura a incriminare la donna. In punta di diritto, si è deciso che in tutti i casi l’aborto è un delitto. Qual è la ratio? A me pare che si creino solo contrapposizioni di cui non si ha bisogno e si tenda a rendere infelice una parte della nostra civiltà.