Deserto, giungla tropicale, montagna

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    La cittadina che ha dato i natali a Massimo Troisi
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    Ad esempio, sarebbe difficile rendere precise le pur interessanti considerazioni che molti hanno proposto riguardo al legame fra clima e religione, e che si basano sull'osservazione di relazioni forse non casuali, ma certo non casuali, tra monoteismo e deserto mediorientale, buddhismo e giungla tropicale, induismo e montagne himalayane.

    Nel deserto niente si trova infatti gratuitamente o naturalmente e tutto ciò che occorre al sostentamento deve essere imposto ed estorto alla natura, e continuamente mantenuto disponibile. In un simile ambiente, niente di ciò che serve all'uomo risulta avere un'origine indipendente e autonoma, e tutto apparee invece essere il frutto di una scelta consapevole, di un progetto preciso, di un atto di volontà determinato. L'idea di un creatore, che pone in essere e conserva la materia per propria scelta e per i propri scopi, sembra essere la natualre generalizzazione all'intero universo di una tale visione del mondo. Non a caso, la prima frase della Bibbia è per l'appunto: <<In principio Dio creò i lcielo e la terra>>.

    Ai tropici invece, i bisogni della vita sono soddisfatti ancora prima di essere formulati: le stagioni si avvicendano violentemente e la vegetazione esplode in un ciclo continuo. In tali condizioni, in cui nessun intervento diretto sulla natura è richiesto, perchè essa dispensa i suoi doni autonomamente, senza che l'uomo debba piegarla alle proprie esigenze attraverso un'azione cosciente, l'idea di un creatire non solo non è necessaria ma è fuori luogo.

    Semmai può nascere per generazione spontanea, rigoglioso al pari della vegetazione stessa, un pantheon oppolato di migliaia di dèi, come nell'induismo dell'Indio del sud. O, ancora più coerentemente, il concetto di divinità può non trovfare terreno fertile per la propria crescita, e l'uomo può dedicarsi al miglioramento del proprio spirito in maniera puramente ateistica, come nel buddhismo hinayana dello Sri Lanka, della Birmania e della Thailandia.

    L'atrofia vegetativa del deserto impone un'integrazione animale della dietas e genera una morale che permette l'uccisione degli animali per il proprio sostentamento: secondo la Genesi, Dio stesso consentì all'uomo di diventare carnivoro dopo il Diluvio Universale (IX,3), benchè gli avesse ordinato di essere vegetariano nel Paradiso Terrestre (I,29). Naturalmente, un'etica che giustifichi la morte altrui non tarda a degenerare in idologie di potenza e di guerra, che si sono storicamente coniugate ai monotiesmi attraverso i secoli, dalle crociate cristiane alle jihad islamiche.

    La natura ai tropici è invece suffcientemente generosa da poter permettere e stimolare diete vegetariane, oltre al concomitante sviluppo di una dottrina globale, della non violenza e del pacifismo, che sono storicamente divenuti parti integranti dell'induismo e del buddhismo, e continuano a esserlo negli insegnamenti di Ganhi e del Dalai Lama.

    Inoltre, il rigoglioso e automatico processo vegetativo della giungla genera l'immagine di un mondo di forme in continuo divenire, e non permette la formazione nè di un concetto statico di essere nè dell'oggettività delle apparenze. La natura si presenta priva di ogni permanenza e genera l'impressione di una fragile istantaneità del presente, che si concretizza nella dottrina del maya induista e del samsara buddhista, secondo cui il mondo delle apparenze quotidinae non è che illusione. La percezione della vita come un flusso di trasformazioni, perenne e inarrestabile, porta automaticamente all'idea di reincarnazione.

    L'uomo del deserto condannato a vivere in un inferno, sogna di arrivare un giorno in un paradiso, nel quale egli possa avere gratuitamente e perennemente ciò che sulla terra gli costa tanta fatica ottenere. Su questa terra, egli aspira almeno a un momento di respiro, che si concretizza nel giorno di riposo delle religioni monoteistiche: il venerdì islamico, il sabato ebraico, la domenica cristiana.

    L'uomo dei tropici, invece, vive già nel paradiso e la reincarnazione lo condanna a rimanerci: l'unica sua speranza di liberazione può dunque essere l'uscita dal gioco, quel nirvana che non è appunto altro che lo svincolamento dal ciclo delle nasciete e delle morti.

    Oltre al deserto mediorientale e alla giugla tropicale, una terza condizione climatica estrema è la montagna himalayana, ai piedi dei cui ghiacci è sbocciato l'induismo, sono fioriti i poemi sacri dei Veda e della Upanishad, ed è ambientata l'epoca del Mahabharata.

    La montagna, quale luono di avvicinamento al cielo, è per sua natura un potente simbolo di innalzamento spirituale, e le religioni di ogni tempo e luogo se ne sono appropriate, santificando le vette che avevano a disposizione: il Sinai, l'Olimpo, il Golgota, il Taishan. Tutte queste alture non paiono però che povere colline di fronte alle cime sacre del monte Kailash o del Nanda Devi, rispettivamente dimora degli dèi e oggettivizzazione di Parvati, moglie di Shiva.

    La caratteristica più evidente dell'ambiente himalayano è l'ipertrofia: delle sue cime, dei fiumi che partorisce, dei ghiaciai che custodisce. Esso non può dunque che amplificare la coscienza in maniera eccessiva e provocare immagini e pensieri smisurati, di cui un esempio tipico è la sterminata estensione del Mahabharata: tre volte la Bibbia, o sette volte l'Iliade più l'Odissea.

    Dal punto di vista spirituale, l'esagerazione si concretizza nel modello di vita meditativo dei rishi, che trovano nelle grotte dell'Himalaya l'ambiente consono ai loro esperimenti di ascesi globale e distacco totale. I sette rishi storici, associati alle stesse dell'Orsa Maggiore e alle sette parti dei Veda, stabilirono lo standard di una vita completamente dedita alla contemplazione, e formalizzarono la visione di una coincidensza assoluta tra la mente indivisuale e quella universale, e la prevalenza del dato psichico e soggettivo su quello materiale e oggettivo. Il loro esempio ja ispirato in India innumerevoli varianti, dai sadhu agli yogin, dai mahatma ai sannyasin.

    Le formulazioni originarie delle grandi religioni, in quanto riflessi di situaizoni geografiche estreme ed eccessive, possedevano ed esibivano una dimensione eroica che si è smussata e. spesso, dissolta nel passaggio ai climi temperati. Le uniche grandi religioni già temperate all'origine sono i ltaoismo e il confucianesimo, nate in Cina verso il secolo VI a.c. Non sorprendentemente, esse sono iummuni da eccessi ritualistici e dottrinali, predicano la moderazione e si presentano più come sistemi etici e politici che religiosi.

    tratto da Il vangelo secondo la scienza. Le religioni alla prova del nove, di Piergiorgio Odifreddi
     
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    non ho letto perchè è troppo lungo, ma concordo con te perchè sei simpatico .....
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  3. kevmit
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    molto interessante...
     
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    Interessante ma molto riduttivo come tutte le teorie legati alle semplici influenze ambientali - la maggior parte dei mussulmani vive in aree tropicali. Ah, concordo con Oysterman, Ffederico l'e' tanto simpatico!
     
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    CITAZIONE (DinoP @ 28/9/2006, 12:07)
    Interessante ma molto riduttivo come tutte le teorie legati alle semplici influenze ambientali - la maggior parte dei mussulmani vive in aree tropicali. Ah, concordo con Oysterman, Ffederico l'e' tanto simpatico!

    infatti DinoP, il capitolo inizia con Ad esempio, sarebbe difficile rendere precise le pur interessanti considerazioni che molti hanno proposto riguardo al legame fra clima e religione

    non sono teorie dell'autore.

    l'autore prende spunto da questo per parlare di altro. di logica matematica che è il suo campo ;) quello vero !

    grazie per la fiducia :unsure:
     
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4 replies since 27/9/2006, 07:36   116 views
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