Dalle ore canoniche all'ora Ferroviaria unificata

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    ecco un po di storia....... male non fa
    La misura del tempo
    Dalle ore canoniche all’ora ferroviaria unificata
    La misura del tempo
    Dalle ore canoniche all’ora ferroviaria unificata
    ________________________________________
    La cognizione del tempo e l'importanza di misurarlo sono quasi certamente nati con l'uomo sapiens.
    E' noto che le più antiche civiltà, dal Sud-America alla Mesopotamia, già disponevano di perfetti calendari.
    Lo stesso uomo delle caverne, osservando il passaggio del sole sui punti più elevati del suo territorio e le diverse lunghezze delle ombre, compresa la propria, nell'arco della giornata, ne avrà certamente fatto l'uso di un orologio solare.
    Per il cacciatore, come per la selvaggina, la scelta dei tempi è necessità di vita e rimanere lontano dal proprio rifugio al calare della notte poteva voler dire trasformarsi da cacciatore in preda.

    Foto 1

    Il primo strumento per la misurazione del tempo fu quindi, quasi certamente, l'orologio solare.

    Rispetto alle differenti lunghezze delle ombre lo stesso corpo umano fu il primo gnomone e il piede la prima unità di misura .

    I vari momenti della giornata venivano così calcolati in "piedi d'ombra".

    Ne è rimasta traccia in numerosi autori greci, da Aristofane (445-368 a.C.) a Luciano di Samosata (II° secolo d.C.) per indicare la lunghezza di un avvenimento o fissare un appuntamento.
    La stessa misurazione in piedi d'ombra è stata utilizzata dai romani per delimitare le ore del giorno che andavano dall'alba al tramonto.
    Le ore venivano numerate con sistema ordinale e l'ora prima si aveva al sorgere del sole mentre l'ora sesta corrispondeva al mezzogiorno.
    Naturalmente la loro lunghezza variava, a seconda delle stagioni, da quaranta fino ad ottanta minuti.

    L'esistenza di orologi solari con gnomone artificiale risale a tempi non documentabili con precisione ma sicuramente molto antichi.
    Plinio ricorda l'obelisco, oggi nella piazza di Montecitorio, fatto trasportare a Roma da Eliopoli sotto Augusto e posto sul Campo Marzio con funzione di meridiana.
    Successivamente l'orologio solare, legato a misurare giornate di lunghezza ogni giorno diversa, venne affiancato da quello idraulico, un recipiente con un forellino sul fondo ed un serie di tacche all'interno, che si comportava come un vero e proprio marcatempo in grado di indicare periodi sempre uguali.

    Secondo Plinio (I° secolo a.C.) già i Greci, oltre ad avere diviso la giornata in dodici ore, distinguevano fra "ore eguali", di durata invariabile, ed "ore stagionali", variabili e corrispondenti alla dodicesima parte del giorno o della notte.

    Ci preme ricordare questi particolari perché queste diverse misure del tempo sono rimaste ambedue in uso per circa venti secoli, fino ai primi decenni dell'Ottocento rendendo più evidente il contrasto del passaggio all'ora unificata dovuta alle esigenze ferroviarie.

    La suddivisione della giornata in dodici ore ci parla di un passato assai remoto, precedente al sistema decimale che è legato, come è noto, all'uso delle dita delle mani.
    Presso i Babilonesi, ad esempio, il dodici era considerato numero sacro.
    Lo stesso termine "ora" sembra derivare da "Horus" o "Ra", il Sole degli Egizi.
    Quale ne fosse l'origine, la divisione duo-decimale delle ore venne diffusa dai Romani nel mondo antico e mantenuta dalla Chiesa nel Medio Evo.

    Nell'uso comune la giornata era suddivisa in quattro periodi sia di giorno che di notte.
    Di giorno venivano ricordate solo le ore Terza, Sesta, Nona e Dodicesima.
    Ognuna di queste ore aveva di fatto una durata di circa tre ore medie.
    La Terza andava dal levar del sole a metà del mattino, la Sesta da metà del mattino a mezzogiorno, la Nona da mezzogiorno a metà del pomeriggio, la Dodicesima da metà del pomeriggio al tramonto.
    La notte era suddivisa in quattro periodi che corrispondevano ai turni di guardia dei soldati romani, le Vigilie (da vigilare): Prima, Seconda, Terza e Quarta Vigilia.

    A modificare questo modo di misurare il tempo intervenne la Regola Benedettina, le norme di comportamento che San Benedetto fissò per l'Ordine monastico da lui fondato.
    Si tratta di una svolta importante per la società cristiana medioevale.
    Per la prima volta il lavoro veniva considerato fattore di elevazione da affiancare alla preghiera.
    "Ora et labora".
    Successivamente fu valorizzato anche lo studio.

    Si rese quindi necessario fissare precisi momenti da dedicare alla preghiera al termine, o in precedenza, delle attività secolari.
    Nacquero così le "ore canoniche", dal greco kanonikos "conforme alla regola", diffuse in tutta Europa nel corso dei secoli (dal VI° al XII°) dalla grande fortuna dell'Ordine Benedettino. Dall'uso ecclesiastico le ore canoniche passarono poi a quello civile.

    L'introduzione delle ore canoniche è stata ritenuta molto importante dagli studiosi perché ad esse è legata l'invenzione dell'orologio meccanico. Questa la successione delle ore canoniche a partire dalla sera:

    1. VESPRO o DODICESIMA ORA, al tramonto del sole.
    2. COMPIETA o COMPLETORIUM, al calar delle tenebre, un'ora circa dopo il tramonto.
    3. NOTTURNO od OTTAVA ORA, al termine degli otto dodicesimi della notte;
    4. LAUDI DI MATTUTINO, alle prime luci dell'alba.
    5. PRIMA ORA, al levar del sole.
    6. TERZA ORA, a metà del mattino.
    7. SESTA ORA, a mezzodì.
    8. NONA ORA o BASSA ORA, a metà del pomeriggio.

    L'aver fissato rigidamente periodi comuni di preghiera e di lavoro, anche nelle ore notturne, comportava una organizzazione legata non più e non solo all'orologio solare ma ad un misuratore di ore uguali, in origine un orologio ad acqua che, come vedremo nel prossimo capitolo, diventò meccanico.

    Gli studiosi sono concordi nel ritenere che l'orologio meccanico sia nato nei conventi per questi fini in un'epoca imprecisata, compresa fra il 1100 e il 1200.
    Naturalmente la Regola Benedettina, legata al sorgere ed al tramontare del sole, imponeva la regolazione degli orologi meccanici seguendo il variare delle stagioni.

    Il permanere dell'attaccamento alla tradizione si spiega facilmente perché, nell'uso comune, la cosa più importante era misurare il tempo a seconda delle ore di luce disponibili.
    In tempi in cui le porte delle città venivano chiuse al calar del sole, l'illuminazione pubblica era pressoché inesistente e quella privata usata con parsimonia, tutte le attività erano di fatto legate alla luce del giorno, (senza contare che gli orologi solari costavano molto meno di quelli meccanici).

    Questo principio era così importante che, seguendo la misurazione degli orologi solari, anche gli orologi meccanici, dal loro apparire e per circa sei secoli, venivano pressoché quotidianamente regolati sull'ora solare e ciò avveniva di norma al tramonto.
    Il sistema comportava un lavoro continuo di regolazione degli orologi, che si logoravano più velocemente, mentre era poco importante la precisione di marcia data la necessità di regolare comunque l'ora molto frequentemente.

    Nel Settecento, secolo dei lumi, si iniziò in Francia a suddividere la giornata in ore eguali, indipendentemente dall'ora solare.
    La novità venne accolta con grandi contrasti e discussioni, che continuarono a lungo, fra conservatori e progressisti.
    Si affermò la moda di usare due orologi: uno con l'ora tradizionale e l'altro con l'ora moderna.
    Vennero costruiti, almeno fino alla seconda decade dell'Ottocento, quindi fino all'avvento del treno, orologi con doppio quadrante.
    Quello di sinistra aveva in genere cifre romane e lancette dorate, indicava la tradizionale ora legata al sole, detta “ora italiana”, quello di destra recava cifre arabe e lancette nere tipo "Breguet" e indicava l'ora moderna.

    Naturalmente l'ora moderna era sempre un'ora locale con il mezzogiorno regolato sull'ora solare.

    Ci siamo soffermati su questi particolari perché,. come vedremo, per molti decenni anche i quadranti degli orologi ferroviari hanno conservato il ricordo di queste diverse misurazioni del tempo.

    Alcune nazioni hanno adottato orologi con cifre arabe e lancette Breguet, altri con cifre romane e lancette tradizionali.

    Il primo riferimento ad un'ora standard fu inglese e dovuto ad esigenze di navigazione navale.

    A partire dal XVII secolo venivano portati a bordo delle navi inglesi cronometri regolati sull'ora di Greenwich.
    L'osservazione del sole e il confronto fra le due ore portavano a determinare la propria posizione in mare.
    Non si trattava quindi di un'ora universale ma di un punto di riferimento utile nel solo momento del rilevamento.

    Fu lo sviluppo della ferrovia a mettere in discussione il tempo locale.
    Fino a che i traffici erano lenti, e le distanze limitate, gli scarti fra le diverse ore venivano dispersi e non vi erano difficoltà pratiche.
    Con l'aumento delle velocità commerciali, l'affermarsi delle comunicazioni interregionali e l’adozione di regolamenti più complessi per la circolazione dei treni, il riferimento ad un'ora valida per una sola stazione, ma non più per quella successiva, divenne impossibile.

    Si arrivò così in Inghilterra, attorno al 1840, all'adozione di un'ora unificata da parte delle società ferroviarie che, naturalmente, agirono in piena autonomia l'una dall'altra.
    Ogni società adottò per le proprie linee tratte un'ora particolare che di solito era l’ora locale della località più importante della linea o della città dove aveva sede la direzione.
    Si trattava di una riforma per niente semplice sulle linee a grande sviluppo.
    cco come si procedeva alla metà del secolo presso la Ferrovia Grand Juncton.: "Tutte le mattine un messo dell'Ammiragliato consegnava all'impiegato di turno del treno postale London Euston Square-Holyhead un orologio che indicava l'ora esatta.
    A Holyhead l'orologio veniva consegnato agli impiegati del traghetto di Kingston che lo portavano a Dublino.
    Al ritorno a Euston, l'orologio veniva di nuovo consegnato al messo dell' Ammiragliato".

    Finalmente, dopo la fondazione del Railway Clearing House, la collaborazione fra le società divenne più stretta e si giunse ad adottare l'ora di Greenwich come ora ferroviaria standard, obbligatoria per tutta la rete, ma valida soltanto per le strade ferrate.
    In Inghilterra l'ora ferroviaria divenne ora universale soltanto nel 1880.

    Molto più complesso si presentò il problema negli Stati Uniti per il numero delle società ferroviarie e la grandezza del territorio.
    Ogni regione aveva la sua ora locale mentre ogni linea ferroviaria osservava di regola l'ora locale della sede della società.
    Nelle stazioni a servizio di più linee vi era un orologio che segnava l'ora locale e tanti orologi per quante società facevano capo a quella stazione.
    Più lungo era il viaggio e più diventava complicato il calcolo dei tempi e in particolare delle coincidenze.
    Il disagio a cui erano sottoposti i viaggiatori fu colto per primo da Charles F. Dowd, direttore di un seminario femminile a Saratoga Springs, New York, che denunciò l'assurdità di alcuni casi limite.

    Dowd prese ad esempio la stazione di Buffalo, importante nodo ferroviario dello Stato di New York.
    Un viaggiatore in arrivo da Portland, Maine, trovava orologi che mostravano tre ore diverse.
    L'ora di Albany per la New York Central & Huston River Railroad, l'ora di Columbus per la Lake Shore and Michigan Southern Railroad e l'ora di Buffalo.

    Vi era poi un orologio che segnava una quarta ora: quella di Portland. Le diverse indicazioni coprivano un arco di 37 minuti.

    Come si può ben comprendere il calcolo delle coincidenze poteva assumere aspetti drammatici.
    Scriveva Dowd: "L'orologio del viaggiatore è per lui solo una delusione.
    Gli orologi delle stazioni rispecchiano i loro quadranti mancanti di accordo, sia fra di loro che con l'ora locale.
    E tutti selvaggiamente in disaccordo con l'orologio del viaggiatore sconvolgendo la possibilità di ogni logica deduzione."

    Buffalo non era certo un caso limite.
    Se il viaggiatore fosse stato in partenza, invece che in arrivo, diretto ad ovest, avrebbe incontrato a viaggio appena iniziato, il tempo di Boston, per incappare, nei pressi del fiume Hudson, nell'ora di Albany.
    A Pittsburg, nodo importante, avrebbe trovato ben sei orologi che indicavano le diverse ore di altrettante compagnie ferroviarie, più quello dell'ora locale.

    La prima idea di Charles Dowd consisteva nel lasciare invariate le diverse ore locali e di unificare l'ora ferroviaria.
    In questo modo in ogni località non vi sarebbero state più di due diverse ore.
    Unificando quella ferroviaria il viaggiatore avrebbe potuto contare sul suo orologio sia per partire che per cambiare treno.
    Come ora unica per tutto il territorio pensò di adottare l'ora del meridiano di Washington, già in uso nella compilazione delle carte geografiche del territorio.
    In questo modo l'indice da utilizzare per calcolare l'ora ferroviaria sarebbe stato costituito dalla differenza fra l'ora locale e l'ora di Washington.

    Proseguendo nell'analisi si rese conto ben presto che il sistema non avrebbe funzionato.
    L'estensione temporale degli Stati Uniti è di 231 minuti, poco meno di quattro ore. Troppo ampia per l'adozione di una sola ora.
    Dowd ideò quindi la suddivisione dello stato in quattro zone con l'orario di ogni zona spostato di un'ora rispetto alle confinanti.
    Egli chiamò questo sistema: Railway Time (ora ferroviaria).
    Il progetto, corredato da una carta geografica esplicativa, venne pubblicato nel 1870 a corredo di un atlante delle linee ferroviarie americane e canadesi. A quel tempo le diverse ore ferroviarie in uso nella federazione erano più di 80.
    Le società ferroviarie non si mostrarono interessate alla riforma.

    Nel 1873 Dowd ripresentò il progetto, con modifiche intese a superare le difficoltà costituite dall'impatto delle linee di demarcazione con le zone a più forte densità ferroviaria, alla Associazione delle ferrovie americane.
    Il progetto venne respinto e analogo esito ebbero successive proposte variamente modificate.

    Nel 1883 il progetto venne ripresentato con poche varianti alla Convenzione Generale dell'Orario da William F. Allen ed approvata all'unanimità.
    Allen era ingegnere ferroviario, istruttore ed editore della "Guida ferroviaria ufficiale del viaggiatore per gli Stati Uniti ed il Canada", faceva parte della Southern Pacific ed era anche segretario della Convenzione Generale dell'Orario, già citata, una associazione delle compagnie ferroviarie che si riunivano due volte l'anno per concordare orari e coincidenze ferroviarie.

    Più tardi, nel 1886, visto l'opportunità di assumere regole comuni anche in altri settori, quali la segnalazione e la sicurezza, questa organizzazione confluì nella American Railway Association, ora Association of American Railroad.
    Allen riuscì dove Dowd era fallito e a distanza di pochissimi anni.
    Sostenne poi di avere elaborato il suo progetto autonomamente e di non avere in alcun modo approfittato degli studi pubblicati da chi lo aveva preceduto. Probabilmente non fu così.

    Ad Allen va tuttavia il merito maggiore della riforma, perché riuscì a convincere in pochissimo tempo la totalità delle società ferroviarie dei vantaggi che ne sarebbero derivati.
    Da ferroviere mise in luce la risoluzione dei problemi tecnici e i vantaggi economici derivanti. Dowd, direttore di un seminario femminile, quanto di più lontano vi poteva essere dalle ferrovie, si era limitato a presentare la riforma dal punto di vista del cliente.
    A mezzogiorno di domenica, 18 novembre 1883, su circa 600 società ferroviarie degli Stati Uniti ed del Canada vennero abbandonate le 53 diverse ore fino ad allora utilizzate per adottare l'ora ferroviaria standard (Standard Railway Time) fissata nelle cinque fasce orarie denominate Intercolonial, Eastern, Central, Mountain e Pacific e delimitate dai meridiani 60, 75, 90, 105 e 120 riferiti al meridiano di Greenwich.
    La maggior parte delle città americane e canadesi seguirono entro breve tempo l'esempio delle ferrovie adottando l'ora ferroviaria quale ora locale.

    Le zone di Allen risultarono poi sostanzialmente coincidenti con i fusi orari adottati l'anno successivo dalla conferenza internazionale dell'ora standard tenuta a Washington.
    Si dovette però attendere fino al 1918 per l'adozione dell'ora ferroviaria quale ora legale da parte del governo federale.

    Nel 1933 venne posta una targa di bronzo nella Union Station di Washington DC in onore di William F. Allen, nel 50ø anniversario dell'introduzione dell'ora media americana.

    In Europa l'ora della ferrovia venne mantenuta fino agli anni '90.
    Poi ogni nazione passò all'ora del fuso orario.
    Il passaggio avvenne gradualmente, con resistenze, obiezioni, orgogli di campanile e tentativi di conservazione, non solo in Italia.
    La Francia, ad esempio rifiutò per molti anni di adeguarsi ai fusi orari e nel 1891 preferì adottare l'ora di Parigi per tutto il territorio nazionale e l'Algeria.
    A loro volta le società ferroviarie francesi adottavano un'ora ritardata di 5 minuti rispetto a quella di Parigi.
    In Lombardia l'ora media ferroviaria venne introdotta nel 1859, quasi venti anni dopo l'apertura della Milano-Monza.
    Lo ricorda un avviso del Regio Ispettorato delle Ferrovie Lombarde :" Per assicurare le coincidenze colle altre linee dello Stato ed Estere, e per facilitare il conseguimento della maggior possibile precisione nella misura del tempo, misura che tanto interessa al vivere civile, era altamente sentito il bisogno che , anche fra noi, gli orologi fossero regolati a tempo medio. Per ciò viene superiormente disposto che negli orari delle Ferrovie Lombarde, a datare dal 15 ottobre 1859, la misura del tempo debba essere riferita al tempo medio di Milano."

    Più difficile fare accettare in provincia l'ora ferroviaria come ora cittadina.
    A Piacenza , ad esempio, la ferrovia era arrivata nel 1859 ma fu solo nell'anno successivo che la Direzione Generale dei Lavori pubblici ottenne dal Comune l'adozione dell'ora media "onde evitare quegli inconvenienti che potevano derivare nel servizio delle ferrovie".
    Il Consiglio comunale, esaminata la questione, rifiutò in un primo tempo di adeguarsi "dovendo bastare, per buona informazione dei viaggiatori, un avviso da cui risultasse la differenza fra il tempo vero di Piacenza e il tempo medio".
    Si rese necessario un intervento personale del direttore della Società delle Strade Ferrate che ottenne la nomina di una Commissione con l'incarico di studiare il problema e di prendere contatto con le altre amministrazioni "che hanno orologio pubblico nella città".
    Piacenza ebbe così la sua ora legale, omologata con gli orologi di Torino e di Bologna mentre la meridiana di piazza continuava a segnare il suo ormai inutile "tempo vero".

    Fu dopo l'unità di Italia che si arrivò ad una prima unificazione delle ore regionali.
    Con decreto reale, nel 1866 venne adottata l'ora di Roma per "il servizio dei convogli nelle ferrovie, quello dei telegrafi, delle poste, delle messaggierie, dei piroscafi postali nelle provincie continentali del Regno”, mentre per la Sicilia e la Sardegna venivano adottate le ore di Palermo e di Cagliari.
    Finalmente nel 1893 anche in Italia entrò in vigore l'ora dell'Europa Centrale.
    Ecco spiegata la costante presenza dell'orologio nella facciata esterna delle stazioni.
    Non si trattava solo di un servizio di carattere promozionale quanto di una necessità perché l'ora della stazione era quella ferroviaria e poteva, nei primi decenni di attività, non corrispondere con quella dell'orologio di piazza o del campanile.

    a dimenticavo articolo scritto da RENZO POCATERRA.......INGEGNERE DELLE FERROVIE DELLO STATO..

    Edited by perseo66 - 17/1/2014, 16:02
     
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    Interessantissimo, grazie :)
     
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    Grazie, interessante :)
     
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  5. Maddy Angeloafrodite
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    interessante grazie
     
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  6. passionesub
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    Aggiungo una interessante integrazione ad opera di Hubert Monteilhet ( storico e scrittore, appassionato di storia romana ).

    " .... la diffusione del quadrante solare concavo, lo " gnomone " greco fu un grande progresso. L'illuminazione solare di questo strumento indicava, in uno dei due sensi, la lunghezza delle ore del giorno, nell'altro ragguagliava sull'altezza stagionale dell'astro.
    Ma ogni gnomone doveva essere costruito espressamente per la latitudine del luogo in cui veniva usato e osservato, quindi orientato con la massima cura.
    Si pensi alla vittoria di M.Valerius Messalla, che all'inizio della Prima Guerra Punica aveva installato davanti ai " comizi ", lo gnomone razziato a Catania.
    L'ora dell'Urbe rimase falsata, pur con i crismi dell'ufficialità, per ben tre generazioni !
    Gli orologi idraulici presentavano il vantaggio di indicare anche le ore della notte. ....... ( segue una bella disamina che comprende anche le suonerie comandate dai galleggianti, che facevano risuonare carillon di campanelle argentine o far fischiare pupazzi ornati di piume )
    Conclude con una frase, per me attualissima se pur riferita all'epoca :
    " .... è + facile mettere d'accordo due filosofi che due orologi "
     
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  7. Royal-oak
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    Davvero molto interessante, questo per far presente che l'orologeria oltre a essere tecnica è anche storia...
     
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    Grazie, bella storia
     
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    Molto interessante, grazie mille per le info
     
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    grazie molto interessante. sapevo che per questo in inglese per dire l'ora si dice ...... o'clock ad esempio five o' clock, perche' e' l'ora media dell'orologio e non quella del sole. Accade anche in altre lingue?
     
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    Molto interessante, adesso conosco il motivo dell’orologio fuori dalla stazione ed ogni qualvolta lo vedrò ripercorrerò questa storia. Fantastico.Grazie
     
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    Grazie, molto documentato.

    E sotto trapela la passione.
     
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