L'angolo della Moda: from sidewalk to catwalk

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    Con il permesso della Moderazione (che potrà disporre a proprio piacimento il suddetto topic), vorrei inaugurare uno Spazio dedicato alla Moda. Moda non intesa nella semplice accezione del vestire comune o di ciò che è in voga al momento ma, un angolo di più ampio e progressivo respiro. Un angolo che ha l'ambizione, senza la presunzione e la saccenteria, di spiegare e far capire agli utenti i fenomeni contemporanei di questo Mondo: esplicare non solamente una collezione, uno stilista o un brand ma, dare voce a tutto quel "dietro le quinte" che troviamo dalle passerelle alle strade e che, spesso e volentieri, viene stupidamente deriso, sbeffeggiato ed incompreso.
    Purtroppo i tempi moderni impongono scarse riflessioni sulle immagini ed i prodotti che vediamo e consumiamo: veniamo bombardati costantemente in ogni direzione tra media e social network. Ma cosa si potrà mai capire mettendo un like ad una celebrity, ad un pseudo fashion blogger (i peggiori) od un amico vestito bene?
    Oppure ancora possiamo chiederci: ma a cosa serve la Moda? A chi serve? E' solamente un fenomeno consumistico per esseri umani dotati di ampia disponibilità economica? Cosa cambia tra un vestito di Zara da 19€ ed uno brandizzato tale e quale da 900€? Sono proprio uguali?
    A queste domande cercherò di rispondere, così come a tutte quelle che ogni utente vorrà fare. Nella speranza che questo non diventi uno spazio fine a se stesso oppure un monologo di compiacimento senza fine.

    Vorrei inaugurare il topic con la recente Cruise 2018 proposta da Alessandro Michele per Gucci.





    Slideshow: www.vogue.com/fashion-shows/resort-...show/collection


    Ne ha fatta di strada il giovane Alessandro Michele da quando si è insediato, ad inizio 2015, nel ruolo più importante in Gucci. Alessandro Michele, difatti, lavorava già nel brand toscano come assistente di Frida Giannini, ex fashion designer liquidata in malo modo da Pinault, Presidente di Kering (proprietaria del marchio). Motivo? Scarsi risultati creativi ed una caratterizzazione del marchio confinata malamente solo al settore degli accessori.
    Pinault aveva pienamente ragione. Gucci con Alessandro Michele è ritornata nell'olimpo di quei pochi brand di Moda che in Italia sta facendo dell'innovazione e della creatività la sua arma vincente: creativo e lungimirante come solo sua Maestà Miuccia Prada riesce a fare attualmente.
    Per la Cruise, Gucci sfila nella splendida Sala Saturno della Galleria Palatina di Palazzo Pitti, in un concentrato di arte e bellezza (ben sedici quadri di Raffaello presenti). L'arte creativa di Michele è stata quella di portate la "Guccification" in ogni abito che sfila in passerella e che poi troviamo in negozio. Ovvero, in altre parole, rendere immediatamente riconoscibile l'essenza Gucci in ogni vestito ed accessorio. Ogni modello/a sfila con un alloro, tale da renderlo una vera e proprio divinità, non altro che la tematica di tutta la sfilata. Sfilata che, non per caso, doveva essere ad Atene. Purtroppo non è andata così (Atene, nonostante il lauto compenso, ha rifiutato di far sfilare Gucci al Partenone). Motivo per cui Gucci ha deciso di sfilare a Firenze per raccontare attraverso il Rinascimento l'arte di essere Divi in qualsiasi momento (ricordate le famose parole di Warhol?). La Storia, così, diventa un metodo per la narrazione dell’oggi in cui essere divi è un’opportunità che possono avere tutti. E da qua che Michele porta nella sostanza la sua Guccification in ogni singolo pezzo: non soltanto attraverso le classiche GG (o c.d. Logomania) ma anche fior di lavorazioni e tessuti pregiati che vanno ad esaltare l'essenza in luogo della mera e becera apparenza. Un insieme di valori supremi, appartenenti proprio alle divinità: qualità che dovrebbe avere ogni essere umano e raccontati con maestria da Michele in un bellissimo excursus storico.

    Edited by Thomas M. - 7/6/2017, 12:57
     
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    Hai fatto bene.
    Ieri mi è giusta arrivata la mail di Gucci con la nuova collezione.
    Beh, proprio non ne colgo l'essenza.
    Non c'è un singolo pezzo che mi piaccia. È quasi tutto pacchiano ed estremamente "Guccificato" (bel termine).
    Davvero non colgo a chi possa piacere.

    Tra l'altro siamo passati dall'opulenza di Tom, all'anonimato di Frida, per giungere alla apparente sciatteria flowerpower di AM....
    Boh? :UH:

    È un cambio di rotta che non capisco
     
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    Dove posso trovare la coroncina d'alloro?
    Mi ci vedo bene.
     
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    Ma siamo sicuri che i modelli siano vivi?
     
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    CITAZIONE (Tifeo Pluto @ 7/6/2017, 06:57) 
    Hai fatto bene.
    Ieri mi è giusta arrivata la mail di Gucci con la nuova collezione.
    Beh, proprio non ne colgo l'essenza.
    Non c'è un singolo pezzo che mi piaccia. È quasi tutto pacchiano ed estremamente "Guccificato" (bel termine).
    Davvero non colgo a chi possa piacere.

    Tra l'altro siamo passati dall'opulenza di Tom, all'anonimato di Frida, per giungere alla apparente sciatteria flowerpower di AM....
    Boh? :UH:

    È un cambio di rotta che non capisco

    Tifeo, l'errore che fai è quello di mettere dentro lo stesso scatolone "Gucci" tre personalità completamente differenti: non possono avere la medesima continuità stilistica ed è sbagliato continuare ad identificare un brand col suo couturier. Quei tempi, con l'avvento della Finanza nel sistema Moda, oramai son definitivamente morti. Gucci deve (è costretta) continuamente cambiare, senza avere un fil rouge che lega il passaggio da un fashion designer all'altro. Altrimenti identificheremmo ancora Dior col couturier Christian e non con chi gli è succeduto (a seconda delle linee: Galliano, Slimane, Raf Simons, Maria Grazia Chiuri, etc...).
    Nella fattispecie, possiamo considerare la vera e propria rivoluzione in Gucci solo con l'avvento di Tom Ford. Tom Ford fu chiamato in causa per capire e decidere cosa Gucci sarebbe diventato: continuare a sfornare pelletteria ed accessori o porlo come un brand creativo e all'avanguardia? Questa non è stata una decisione semplice poiché da quando i brand non sono più di proprietà dei loro fondatori a decidere non è né la vecchia proprietà e né il fashion designer ma, semmai, la nuova proprietà attraverso il suo CEO (mero portavoce). Ma sta proprio qua il nocciolo della questione: non sempre fashion designer e CEO hanno la stessa visione e la stessa ambizione poiché l'uno pensa alla creatività e all'innovazione e l'altro al mero profitto e a far quadrare i conti. Non sempre queste due voci possono andare d'accordo. Il folgorante periodo di TF inizia proprio quando il CEO gli dà mano libera sul brand: lui lo trasforma da mero brand di pelletteria a vera e propria icona glamour, quell'icona tipica, irriverente ed indelebile che solo Tom Ford possiede.
    Con l'avvento, nel 2005, di Frida Giannini in luogo di TF, Gucci è costretta nuovamente a cambiare percorso. Personalmente ritengo l'esperienza della Giannini in chiaro scuro, tra alti e bassi. Il suo vero e proprio difetto è stato quello di, assieme al CEO (suo compagno di vita) spersonalizzare l'arte creativa di Gucci rendendola fin troppo riconoscibile e pacchiana e sconfinata nel mondo degli accessori, altamente riconoscibili e poco desiderabili.
    Da quando Pinault ha liquidato compagna e compagno, chiamato Alessandro Michele (promuovendolo ndr) a sostituirla, il brand è ritornato a fare quello che sapeva fare con Tom Ford: creatività.
    Non guardate e non traslate le uscite da passerella direttamente alla strada: il mix e l'evoluzione sarà per forza diverso.
    Io non sono un fan Gucci, né cliente Gucci. Ma voler ancora riproporre gli abiti di TF (per quanto ancora belli ed attuali) è un controsenso in questo settore. La Moda è sempre stata creatività ed innovazione, non involuzione e ritorno al passato.

    Edited by Thomas M. - 7/6/2017, 09:59
     
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  6. sharkrunner
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    bella discussione, seguo con interesse
     
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    Eppure, il cambiamento mi pare troppo radicale.
    Questo porta a disamoramento del marchio.
    Quando Slimane ha interrotto i rapporti con DH, li ho interrotti anche io, ma in fondo la clientela poteva essere la stessa, perché KVA era comunque su lunghezze d'onda simili.
    Quando Ghesquière ha interrotto i rapporti con Bale, li ho interrotti anche io, ma in fondo la clientela poteva essere la stessa, perché Wang pur avendo proporzioni completamente differenti aveva un concetto di Moda non rivoluzionario.
    Un cambio così marcato poteva essere un Pilati-Slimane, però Slimane ha comunque influenze del fondatore YSL, quindi vedo continuità.

    Ora con la casa fiorentina siamo passati ad un qualcosa che davvero non capisco.
    Quando vedo le pubblicità Gucci, mi sembra di vedere Starsky & Hutch.
    Non c'è un singolo capo che mi attiri.
    Forse le scarpe col pelo, non perché belle, ma solo perché iconiche.


     
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    Thomas, qualcuno ha (giustamente) tolto il sottotitolo perché non previsto dalle linee guida del forum.
    Mi ero ripromesso di farlo io, per decidere come integrarlo nel titolo.

    Puoi inserirlo nel primo messaggio? Mi pare essenziale per capire il senso della discussione
     
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  9. ROMANEEC
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    Io non seguo molto la moda... però interpreto il cambio di direzione della moda nella seguente idea.
    La moda oggi non è più quella dell'immaginario collettivo italiano-francese-inglese, non è più la qualità dei materiali, le grandi qualità di produzione, i dettagli e i preziosismi che era fino a un decennio fa... è cambiato il linguaggio, è cambiato l'interesse. Oggi la Moda è un gesto politico, un bisogno di rompere con il sistema, di alterare le tradizioni. Ora la moda guarda alla strada, guarda al radical, guarda all'annullamento dei sessi e delle idee. È un'evoluzione naturale... non è un caso che un colosso come Louis Vuitton abbia chiesto a Supreme una collaborazione, non è un caso che l il soviet's style e la moda anni 90 berlinese/detroit e della droga e della musica tecno è oggi il massimo splendore modaiolo (vedi Vetements, Balenciaga, Gosha, etc...) nel contesto europeo-americano-nipponico. Perché? Perché la gente è desiderosa di quel mondo, i ricchi voglio essere normali, vogliono essere stravaganti e retro. È un periodo, un corso naturale. La moda si è aperta in due, le correnti che guardano al massimo lusso (Valentino, Dior, Pucci, Hermes, etc...) dei mercati russi, arabi, cinesi e la moda giovane-fresca ed innovativa che guarda al resto dei paesi... È un fenomeno naturale che c'è sempre stato e sempre ci sarà. Oggi vediamo tradizionale la moda di Saint Laurent e Dior, ma quando uscirono erano totalmente avanguardisti...

    Fenomeno Gucci? Alessandro Michele è semplicemente un raccoglitore di memorie e di storie, che è quello che interessa oggi alle persone ricche e annoiate senza una cultura dietro fatta di storia... Se prendi la sfilata di Gucci e la smembri, prendendo pezzo per pezzo, è molto più naturale e indossabile di quello che sembra, ve lo posso garantire... ho preso in mano tutti i pezzi più o meno.

    La moda va studiata come un fenomeno, ma poi tshirt bianca, jeans e belgian. Tutta la vita...
     
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    CITAZIONE (Tifeo Pluto @ 7/6/2017, 12:43) 
    Eppure, il cambiamento mi pare troppo radicale.
    Questo porta a disamoramento del marchio.
    Quando Slimane ha interrotto i rapporti con DH, li ho interrotti anche io, ma in fondo la clientela poteva essere la stessa, perché KVA era comunque su lunghezze d'onda simili.
    Quando Ghesquière ha interrotto i rapporti con Bale, li ho interrotti anche io, ma in fondo la clientela poteva essere la stessa, perché Wang pur avendo proporzioni completamente differenti aveva un concetto di Moda non rivoluzionario.
    Un cambio così marcato poteva essere un Pilati-Slimane, però Slimane ha comunque influenze del fondatore YSL, quindi vedo continuità.

    Ora con la casa fiorentina siamo passati ad un qualcosa che davvero non capisco.
    Quando vedo le pubblicità Gucci, mi sembra di vedere Starsky & Hutch.
    Non c'è un singolo capo che mi attiri.
    Forse le scarpe col pelo, non perché belle, ma solo perché iconiche.

    Indirettamente la risposta l'hai scritta anche tu e mi ricollego a quanto su scritto. Proprio perché il nome del brand e quello del suo couturier non sono più univoci ed indissolubili, il rapporto che lega un cliente ad un brand è divenuto temporaneo, definirei quasi effimero. Tu sostieni che hai lasciato Dior Homme appena Slimane andò via: perché l'hai fatto? Perché non eri assuefatto dal potere del brand ma eri focalizzato totalmente sul prodotto creato dallo stilista. Non a caso quando Slimane andò da SL per te non è stato difficile acquistare quei prodotti: eri ritornato "a casa". Così il brand, dopo la scomparsa del suo creatore, diventa solamente un contenitore vuoto da riempire. Certamente avrà i suoi classici in listino, ma quanto dureranno? I classici non sono altro dei prodotti che in precedenza erano novità, novità che han rivoluzionato il settore e che han riscosso notevole successo, di critica e di mercato.
    Quando i fashion designer cambiano brand non sempre il passaggio di consegne diventa omogeneo. Perché? Perché se il fashion designer, studiando gli archivi, ri-proponesse i prodotti già pensati e costruiti non farebbe altro che produrre il già fatto. Ed allora a cosa serve il fashion designer?
    Il suo compito deve andare aldilà dello proporre il DNA del brand. Semmai può prenderne spunto ma il resto deve "crearlo" lui.
    Un esempio. Quando Raf Simons (uno dei mitici sei della scuola di Anversa) arrivò in Christian Dior (per prendere il posto di Galliano) prese sì spunto dagli immensi archivi della Maison ma, allo stesso tempo, partendo da quegli archivi creò le sue collezioni. Collezioni che inequivocabilmente riflettono la creatività e la personalità dello stilista belga.

    Nonostante ciò, non è detto che un prodotto deve piacere per forza. L'importante, però, è comprendere il prodotto e la sua creatività. Anche io non comprerei nulla di Gucci ma, non perché non mi piaccia la creatività di Michele bensì perché ho un gusto estetico completamente diverso dalla loro proposta commerciale.



    Per chi volesse approfondire questo ultimo aspetto, consiglio il cortometraggio "Dior and I".

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    Edited by Thomas M. - 7/6/2017, 17:54
     
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    CITAZIONE (ROMANEEC @ 7/6/2017, 17:06) 
    La moda oggi non è più quella dell'immaginario collettivo italiano-francese-inglese, non è più la qualità dei materiali, le grandi qualità di produzione, i dettagli e i preziosismi che era fino a un decennio fa... è cambiato il linguaggio, è cambiato l'interesse. Oggi la Moda è un gesto politico, un bisogno di rompere con il sistema, di alterare le tradizioni.

    Condivido, come succede con l'arte in generale attualmente ;)
     
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    CITAZIONE (ROMANEEC @ 7/6/2017, 17:06) 
    La moda oggi non è più quella dell'immaginario collettivo italiano-francese-inglese, non è più la qualità dei materiali, le grandi qualità di produzione, i dettagli e i preziosismi che era fino a un decennio fa... è cambiato il linguaggio, è cambiato l'interesse. Oggi la Moda è un gesto politico, un bisogno di rompere con il sistema, di alterare le tradizioni. Ora la moda guarda alla strada, guarda al radical, guarda all'annullamento dei sessi e delle idee.

    Nulla di nuovo: lo aveva già fatto YSL cinquant'anni fa sradicando il concetto che la moda del prêt-à-porter dovesse obbligatoriamente derivare dall'Haute Couture. Ne sono un esempio diverse collezioni ispirate alla sua amica Paloma Picasso che ben era lontana dal vestire l'Haute Couture francese. Paloma ben riempiva l'armadio comprando nei mercatini: una forma di streetwear alle origini. Il linguaggio è già cambiato nel '900 con Dior (New Look), Chanel e appunto YSL ma dopo il fenomeno Rick Owens ancora non ho visto nulla. Compreso l'osannato Demna Gvasalia, ancora troppo legato ai lavori fatti in Margiela.
    La constatazione che molte collezioni siano ispirate al fenomeno del transgender (già non più una novità...) non fa altro che confermare il compito che la Moda si prefissa di compiere, portando in anticipo le istanze sociali di cui la politica si disinteressa.
     
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    Da poco si son concluse le sfilate Moda Uomo per quanto concerne la stagione primavera-estate 2018. Come al solito a dettare le linee guida per le prossime stagioni sono Parigi e Milano, entrambe lanciate verso il futuro a differenza di Londra e New York.
    Traggo spunto dalla prima discussione per commentare una sfilata che, a mio modo di vedere, calza a pennello con i diversi tempi su trattati, ovvero quello della portabilità. Spesso e volentieri, per i non addetti ai lavori, una sfilata in passerella è di difficile comprensione. Un'espressione quasi incredula viene all'uomo della strada: potrò mai mettermi quella roba? Ci si concia così?
    Trovo che calzi a pennello la sfilata di Ermenegildo Zegna Couture e del suo fashion designer Alessandro Sartori.
    Il lavoro di Sartori va incontro ad una Moda immediatamente indossabile e riconoscibile, una Moda che va aldilà della semplice costruzione del vestito o della scelta dei materiali. Sartori cerca la perfezione non soltanto nel taglio, nel disegno, nel materiale bensì cerca di dare una vita, un'espressione al vestito da indossare. Cosicché ogni vestito diviene diverso da quelli in serie, e di cui il proprietario infonderà tutte le sue peculiarità. Non è un caso se Zegna propone anche un confezionamento su misura dei capi, uno dei primissimi brand già anni or sono.
    Qual è stato il compito di Sartori? Ha unito l'esercizio di stile e di estetica alla portabilità quotidiana, attualizzata alla fine del secondo decennio del terzo millennio. Il capo non diventa solo da passerella, e quindi astratto, ma utilizzabile già nella quotidianità, mixandolo con altri innumerevoli capi, sportivi e non.

    ARC0513

    Slideshow: www.vogue.com/fashion-shows/spring-...show/collection
     
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  14. Donnie Darko
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    CITAZIONE (sharkrunner @ 7/6/2017, 10:18) 
    bella discussione, seguo con interesse

    Idem !
    Bravo Thomas M.
     
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    Gran bella discussione Lorenzo
     
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