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Cala Cimenti e Patrick Negro erano miei amici…erano, perché l’ennesima valanga di questa stagione li ha portati via, come, negli anni, molti altri amici prima di loro. I giornali raccontano e racconteranno le loro imprese alpinistiche, soprattutto quelle di Cala, professionista atipico della montagna. Io voglio raccontare degli uomini, perché l’amicizia nasce dal rapporto umano, non dalle performance sportive. Le loro storie sono intrecciate profondamente, tra Pragelato e Chezal e nel tempo si sono intrecciate con la mia. Cala per me era “l’eroe” un termine non servilistico o di compiacenza; era entrato nella mia vita con la sua vitalità dirompente, tendendomi una mano, senza se e senza ma, in un momento per me difficile. Mi ricordava quelle figure mitologiche, con una forza ed un entusiasmo enormi, capaci di imprese mitiche, ma allo stesso tempo con una sua fragilità e una semplicità che lo rendevano estremamente umano. Capace di suscitare una naturale simpatia, anche in chi lo frequentava per qualche minuto, capace di offrire le sue chiavi di casa ad un amico di un amico per fare una gita con lui il giorno dopo. Ho conosciuto uomini, a volte ne ho raccontato storie, scavando nella loro vita, ho sempre cercato di non fermarmi alle apparenze, ai pregiudizi, alla “pelle”. Ma con Cala era tutto così evidente, spontaneo, lui era così, punto. Riempiva le ore, le giornate della sua straripante e gioiosa personalità, aveva il dono di rendere anche le cose più faticose e complicate un gioco. A volte mi faceva arrabbiare, lo avrei voluto più omologato, più attento a se stesso, più capace di farsi sentire con chi magari approfittava della sua disponibilità. Ma lui era così, capii che bisognava semplicemente lasciarlo andare, come un puledro selvaggio, cavalcava la sua vita, le montagne, le passioni, per lui era tutto amplificato, non potevi fermarlo, solo ammirare le sue cavalcate. Eroe dove sei? Era il mio messaggio, la sua voce affannata al telefono e la sua risposta: sto salendo, vedessi che bello! Ci siamo legati in cordata per salire qualche cascata di ghiaccio, abbiamo sciato tanto, nel breve tempo del Pragelato Natural Terrain, sceso qualche canale insieme, ma soprattutto abbiamo condiviso una casa, un’esperienza di lavoro e molto altro. Per la mia generazione gli eroi sono inevitabilmente tutti giovani e belli e lui lo era. Indistruttibile quando a volte esplodeva con gli sci dietro o dentro una gobba, invincibile nel consumare birre. Capace ogni volta di rialzarsi con un sorriso, non ricordo di averlo mai visto contrariato o triste, ad ogni contrattempo rispondeva con la sua vitale energia in tempo reale, caricando di energia positiva anche chi gli era accanto. Patrick l’ho conosciuto in una di quelle cene a Pragelato, in varie case e con varia umanità che Cala organizzava semplicemente presentandosi con altri amici e…stasera mangiamo da te. Fuori birre, salami, formaggi, non c’era mai un attimo di noia, ci pensava Cala. Poi al mattino via, a sciare o a lavorare agli impianti, su gambe malferme. Patrick era uomo intelligente, impegnato nel 118 e nel Soccorso Alpino, nazionale, anche lui con una grande carica di vitalità e legato da grande amicizia con Cala. Ricordo la festa che organizzò per il ritorno di Cala a Pragelato, dopo aver conseguito lo Snowleopard, striscioni per il paese, tutti noi ad accoglierlo, fu una bevuta collettiva di cui si porterà memoria negli annuali della Valle. Ci ritrovammo non ricordo l’ora e non ricordo in quanti a dormire nella casa di Cala, una sorta di rifugio per disagiati, dove tutti noi sapevamo dov’erano nascoste le chiavi. Anche in quella occasione festeggiammo l’uomo Cala, non l’alpinista, quello veniva di conseguenza e a Patrick brillavano gli occhi come se le vette più alte della ex Unione Sovietica le avesse conquistate lui. Tante storie da conservare nei ricordi più preziosi, due amicizie che mi porterò dietro per sempre, non mi interessano i : se, ma forse… guardo il mio telefono, vorrei scriverti: eroe! Dove sei? Questa volta la risposta la so: sei dentro di me, parte della mia vita, di una storia a cui non metto la parola fine, perché per quelli della mia generazione il ricordo si identifica così: Voglio però ricordarti com'eri Pensare che ancora vivi Voglio pensare che ancora mi ascolti E che come allora sorridi E che come allora sorridi. Ciao ragazzi, troverete, come sempre, sulla porta della casa di Cala un biglietto piantato con un coltello da cucina nel legno con scritto dove stasera si va mangiare…vi aspettiamo.
Enzo Cardonatti
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